Il capitale umano è definito come un mix di doti innate e di conoscenze acquisite investendo nella propria formazione; un vero e proprio “capitale” che frutta a lungo termine.
Nell’ordinamento giuridico italiano l’essere umano è riconosciuto come “persona” a partire dal momento della nascita. Sul piano biologico questo coincide con il distacco naturale o indotto dal corpo materno e con la vita autonoma, che inizia con il primo atto del respiro. Sul piano giuridico, ciò determina l’acquisizione di diritti propri della persona. Necessariamente, quindi, un feto non avrebbe tali diritti; eppure, ha un suo “potenziale” innato in quanto “essere” ed “innato”.
Nell’articolo di seguito allegato, gli Autori propongono a valle di una riflessione sul tema, un criterio della quantificazione del risarcimento in caso di aborto per colpa di terzi, mediante uno studio retrospettivo, nel quale sono state analizzate le motivazioni allegate di 31 sentenze dei Tribunali italiani, presenti sul Portale dei Servizi Telematici (PST) del Ministero della Giustizia, utilizzando i termini di ricerca “aborto” e “danno”. Sono stati approfonditi i determinanti di profili di risarcimento del danno non patrimoniale legati all’aborto. È così emerso che in termini risarcitori, la morte del feto rappresenta una circostanza che viene giudicata in modo differente rispetto alla perdita di un figlio già nato, e peraltro in maniera non omogena.
Acclarata la disomogeneità nel sistema valutativo dei Giudicanti, la stima economica dell’aborto risente esclusivamente di criteri oggettivi e standard o è influenzata da una soggettiva valutazione?
Ed è possibile trovare dei principi che fungano da Linee Guida per quantificare la perdita di quel capitale umano in fieri?
A questi interrogativi cercano di rispondere gli Autori analizzando quanto già esistente e
quanto proponibile.
Articolo 1: Riflessione sul tema e proposta di criteri valutati per la quantificazione del
danno da aborto